FLOWBRAZA presenta

GLASS BOTTLES UPCYCLING WORKSHOP - Fuorisalone Milano 2025

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GLASS BOTTLES UPCYCLING WORKSHOP - Fuorisalone Milano 2025

Ogni oggetto rappresenta un mondo a sé stante, che cerchiamo di connettere con l’ambiente che ci circonda. È un fenomeno a cui l’essere umano tende, quello di connettere mondi che non sembrano accostabili l’uno con l’altro. Il mondo che ogni oggetto rappresenta diventa sempre più propenso a comunicare con altri, attraverso una crescita nell’attenzione verso il design universale, sostenibile e inclusivo, ma siamo sicuri sia questa la via migliore per connettere i tanti mondi che viviamo? Il Mondo che un prodotto rappresenta è determinato dall’identità e dallo scopo che viene attribuito a quel bene. Cresciamo con l’idea che un prodotto sia riconducibile ad un’idea ben precisa, che ad ogni bisogno corrisponde una soluzione, che il principio causa effetto si possa perfettamente riflettere sulla nostra percezione della realtà, arrivando a settorializzare le nostre esigenze in un mondo, e quindi un sistema di prodotti, creato apposta per risolverle. Il fine di un prodotto è spesso il centro a cui gravitano attorno tutte le sue caratteristiche secondarie, che possono cambiare col tempo e, in alcuni casi, anche sovrastare quella principale e cambiarne la percezione generale, che però rimane pur sempre contenuta dentro un cerchio chiuso. Ad oggi il brand a cui un oggetto può ricondursi è garante di una serie di caratteristiche identificative, come comunicare un certo livello di qualità di manifattura, un determinato status sociale o un tipo di utilizzo specifico dato dal settore di interesse dell’azienda. Questi sono elementi che rafforzano ma non cambiano la staticità di un oggetto vero in quanto tale, ma che se deprivato della propria etichetta e significato, perde valore e diventa obsoleto. Sembra quasi che un prodotto, senza poter essere il centro dentro il proprio mondo, non abbia senso di esistere. Ad un certo punto, come ogni cosa, la vita per qualsiasi oggetto giunge al termine, o meglio, sfuma la possibilità di utilizzare l’oggetto per lo scopo alla quale ambiva. Arrivati a questo punto spesso si cerca, nella maniera più sostenibile possibile, di riportare quel prodotto allo stato originario e svolgere la sua stessa funzione per più tempo possibile, per poi ripetere questo processo all’infinito. Non appena svanisce l’identità, si prova in tutti modi a ridare un senso, e quindi un significato alle cose. In questo modo il mondo che tutti possiamo vedere, usare e condividere, sicuramente sussiste nel tempo, ma non si evolve, spesso anche alle spese del nostro pianeta. Questo fenomeno rappresenta la staticità che ogni mondo ha, ma che cerca di nascondere vociferandosi più aperto, più green e più interconnesso con l’ambiente circostante. Il concetto di identità relega un oggetto a non poter cambiare, ma solo ad essere un trofeo di cui abbiamo sempre più bisogno, noi che siamo tutti in cerca di continue risposte da una vita piena di domande. Cosa succede se questo concetto venisse rimosso? Cosa succede se vedessimo le cose solo per quello che veramente sono, ovvero ancora niente di definitivo? Se un oggetto non è più centro del proprio mondo, può diventare ciò che quel mondo ha bisogno per collegarsi ad un altro. Ci sono infinite possibilità e necessità che possono essere connesse attraverso un oggetto che viene sradicato dal proprio contesto e che, non avendo più una precisa identità o funzione, è completamente re-interpretabile, come una pagina che torna bianca e che aspetta di essere riscritta senza pretese verso il suo scrittore. Così perdere il proprio scopo significa averne infiniti. È proprio una volta che un oggetto perde il suo scopo che non ci si deve fermare a cercare di riportarlo al suo stato originario ma, al contrario, bisogna rompere la catena che lo lega al mondo in cui è segregato. Il design, visto come la progettazione in senso ampio, è assolutamente imprescindibile per dare un senso all’esistenza di un oggetto, ma è solo l’inizio della sua vita, perché col tempo può assumere un significato completamente diverso che tutti noi possiamo sempre decidere di cambiare, perché ognuno nel mondo può riprogettarsi ciò che è stato già progettato, un po’ come sé stesso. Una volta messe al mondo, le cose non devono essere viste come definite e prestabilite, ma come ispirazione per le nostre ambizioni e la nostra creatività che, proprio perché diverse per tutti, sta a noi agevolare e soddisfare, specialmente una volta che non hanno più possibilità di adempire la loro funzione originale. Questa è una grande occasione per poter designare un nuovo scopo, una nuova forma e un nuovo contesto alle cose che ci sembrano morte ed inutili, ma che stanno aspettando di essere reinventate. Questo fenomeno, in continua crescita, avviene sotto il nome di upcycling (o riciclo creativo) e consiste nell’utilizzo della propria creatività per trovare un nuovo modo di utilizzare oggetti, spesso a fine ciclo vita, e quindi di prolungarne la loro esistenza, sradicandoli dal loro contesto d’uso originale per riassegnarli ad un nuovo scopo, spesso completamente diverso da quello precedente. La facilità con la quale ognuno può reinventare la propria realtà è inoltre un grande stimolo all’uso della creatività a servizio della sostenibilità. Il fascino di queste iniziative sta proprio nel poter trovare soluzioni dove pensavamo già di aver trovato tutte le risposte alle nostre domande, ma guardando le cose da una nuova prospettiva, radicale quanto facile e intuitiva, è molto più facile vedere mondi connettersi, perché gli oggetti non sono più visti in quanto isole indipendenti, ma ponti verso nuove destinazioni. Così non solo siamo in grado di connettere mondi, ma addirittura di crearne di nuovi, dove tutto è design e dove tutti siamo progettisti.